Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Sul finire dell’800 e all’inizio del 900, si ebbe in Europa un periodo di relativa stabilità che favorì un miglioramento delle generali condizioni di vita. Questo mutamento creò e determinò la necessità di conservare e preservare le derrate alimentari, carni e verdure in primo luogo. Ciò si raggiunse utilizzando un semplice sistema che aveva un unico punto di riferimento: il freddo. Qui le premesse per la storia del ghiaccio di Salbertrand.
Questa risorsa naturale, normalmente utilizzata da sempre nella stagione invernale, divenne una primaria necessità. Tanto per la gestione di esercizi alberghieri quanto per le cosiddette Botteghe del Caffè. Attività commerciali dove venivano reclamizzate specialità di nuova concezione: birra, gassosa, spremute, bibite e anche i primi gelati.
Venditore di ghiaccio a Milano (anni 50-60).
Reperire e conservare il ghiaccio durante il periodo estivo non era cosa semplice; pertanto si cercò di individuare quali fossero i siti più affidabili per l’approvvigionamento. Valutando costi e benefici, occorreva tenere presente che ai costi di estrazione e trasporto si doveva aggiungere la perdita di peso, subita nel viaggio dal punto di prelievo a quello di consumo. L’unica valle del Piemonte che disponeva di un mezzo di trasporto relativamente vicino ai grandi nevai era la Valle di Susa. Il punto più prossimo sulla tratta ferroviaria era la stazione di Salbertrand, posta a 1007 slm.
Se questo era un vantaggio, non erano da sottovalutare le difficoltà di estrazione e di trasporto a valle. Infatti, il ghiaccio era estratto dal fianco orientale di quello che era allora il ghiacciaio del Galambra, posto a 3060 m di altitudine. Inoltre, prelevare il ghiaccio staccandone grandi blocchi non era una operazione semplice. Si aggiungano ancora la mancanza di strade e altre inevitabili difficoltà.
Nonostante ciò, le dimensioni medie dei blocchi estratti si aggiravano attorno ai 110x70x40 cm, pari a 308 kg.
Se l’operazione di estrazione dei blocchi dal ghiacciaio era un’impresa impegnativa, ancor di più lo era il trasporto a valle. Questo veniva svolto – con comprensibile fatica – da uomini locali attraverso l’uso dell’unico mezzo che permetteva di passare ovunque: la slitta. Si capisce che gli uomini impegnati in questo massacrante e pericoloso lavoro,dovevano essere rudi e coraggiosi.
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Seguendo la strada più agevole per la salita, si raggiungeva la borgata Frènè, poi il rio Gironda per proseguire verso le grange Hubert sino alla Casses Blanches. Si raggiungeva poi il Pasòu du Gla (passaggio del ghiaccio) e, all’alba, il ghiacciaio del Galambra. Appena arrivati, i tagliatori sistemavano il carico che veniva legato. Dopo una breve sosta per consumare un frugale pasto, si prendeva rapidamente la via del ritorno.
Ovviamente questi trasporti avvenivano nei mesi estivi anche se il ghiaccio, scendendo di quota, riduceva il suo volume. La salita al ghiacciaio, con la pesante slitta sulle spalle, iniziava verso mezzanotte. Si dovevano superare 2000 metri di dislivello e ciò richiedeva un tempo di percorrenza di circa 5 ore.
Ghiacciaio e lago Galambra in una cartolina (anni '40).
La discesa con il carico era un’impresa quasi impossibile. Si pensi alla forza necessaria per tenere a freno una slitta con 300 chilogrammi di ghiaccio. Costruita in frassino o maggiociondolo, la slitta pesava all’incirca 30 kg e doveva resistere alle sollecitazioni, al carico e alla discesa su un fondo di buche e dossi che spesso la portavano a inclinarsi lateralmente, con il rischio di ribaltare il carico.
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La temperatura in alta quota, sul ghiacciaio era relativamente bassa, ma scendendo a valle aumentava. Tantoché all’arrivo alla stazione di Salbertrand si calcolava una perdita del 15%. Una volta a valle, si pesava il ghiaccio e lo si stivava in vagoni isolati termicamente.
Si doveva garantire il trasporto di un carico sufficiente a coprire le spese di spedizione su rotaia, e rispettare con perfetto tempismo l’orario ferroviario: gli uomini coinvolti in questa attività erano circa una ventina.
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